Crepuscolo

Il crepuscolo è l'intervallo di tempo prima del sorgere del Sole, o dopo il tramonto, caratterizzato dalla permanenza dal chiarore dovuto alla diffusione da parte dell'atmosfera della luce del Sole.

Convenzionalmente vengono identificati tre tipi di crepuscolo: il crepuscolo civile, il crepuscolo nautico e il crepuscolo astronomico.

Crepuscolo civile

Il crepuscolo civile serale comprende il periodo che intercorre tra il tramonto del Sole e l'istante in cui esso raggiunge la distanza zenitale di 96° (-6° dall'orizzonte), momento nel quale inizia il crepuscolo nautico. Al mattino il crepuscolo civile comprende il periodo che intercorre tra l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 96° (-6° dall'orizzonte) e la sua levata. In questo intervallo è possibile distinguere chiaramente gli oggetti circostanti e condurre attività all'aperto senza utilizzare illuminazione supplementare. Durante il crepuscolo civile in cielo sono visibili solo alcune stelle e pianeti particolarmente luminose. L'inizio (il mattino) o il termine (la sera) del crepuscolo civile indicano idealmente il momento in cui rispettivamente si possono spegnere o è necessario accendere fonti di illuminazione artificiale per condurre attività all'aperto.

Crepuscolo nautico

Il crepuscolo nautico serale comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo civile (-6° dall'orizzonte) e l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 102° (-12° dall'orizzonte), momento nel quale inizia il crepuscolo astronomico. Al mattino il crepuscolo nautico comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo astronomico in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 102° (-12° dall'orizzonte) e l'inizio del crepuscolo civile (- 6° dall'orizzonte). L'importanza di tale convenzione risiede nel fatto che in questo lasso di tempo si distinguono contemporaneamente la linea dell'orizzonte e le stelle principali. In tali condizioni, utilizzando strumenti di misura nautici come il sestante, è possibile stabilire la propria collocazione geografica.

Crepuscolo astronomico

Il crepuscolo astronomico serale comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo nautico (-12° dall'orizzonte) e l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 108° (-18° dall'orizzonte), momento nel quale inizia la notte astronomica. Al mattino il crepuscolo astronomico comprende il periodo che intercorre tra la fine della notte astronomica in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 108° (-18° dall'orizzonte) e l'inizio del crepuscolo nautico (- 12° dall'orizzonte). Quando il Sole si trova al di sotto di -18° dall'orizzonte non dà più sostanziali contributi all'illuminazione del cielo ed è idealmente possibile distinguere ad occhio nudo tutte le stelle fino alla sesta magnitudine.

Durata

La durata del crepuscolo è determinata da due fattori: la latitudine geografica e la declinazione del Sole. A latitudini elevate corrispondono crepuscoli più lunghi, che nelle regioni polari possono durare anche diversi mesi e prendono il nome di notte polare. Inoltre negli equinozi il crepuscolo ha la durata minore dell'anno, mentre nei solstizi questa è massima. Solamente all'equatore la durata dei crepuscoli è quasi costante.

Equinozi e Solstizi

L'equinozio (dal latino aequĭnoctĭum, derivato a sua volta dalla locuzione aequa nox, cioè «notte uguale (per durata) al dì») è quel momento della rivoluzione terrestre intorno al Sole in cui quest'ultimo si trova allo zenit dell'equatore.
L'asse di rotazione terrestre non è perpendicolare al piano di rivoluzione orbitale intorno al Sole, essendo rispetto a questo inclinato mediamente di 23° 27'. Ciò comporta che la luce del Sole non incida mai, in ogni istante, con la stessa angolazione, ma che vari costantemente. Agli equinozi l'asse di rotazione terrestre si trova perpendicolare alla direzione dei raggi solari e quindi in ogni punto del pianeta dove il Sole supera l'orizzonte la durata diurna è uguale a quella notturna, eccezione fatta per le peculiarità terrestri dovute all'atmosfera, come descritto più avanti. L'equinozio di marzo, cioè quello di primavera nell'emisfero boreale e di autunno nell'emisfero australe, è anche detto punto vernale, punto dell'Ariete o punto gamma (dalla lettera minuscola greca γ, la cui forma ricorda, appunto, la testa di un ariete, anche come simbolo tradizionale astrologico), mentre quello di settembre (equinozio d'autunno nell'emisfero boreale e di primavera in quello australe) viene anche chiamato punto della Bilancia o punto omega (dalla lettera greca Ω). Questa notazione, di derivazione astrologica, oggi non è più valida poiché, a causa della precessione degli equinozi dovuta al moto eccentrico dell'asse terrestre, questi punti non si trovano più nella costellazione da cui prendono il nome: infatti attualmente all'equinozio di marzo il Sole si trova nella costellazione dei Pesci e dovrebbe entrare nell'Acquario nel 2600 mentre a settembre si trova nella Vergine. L'equinozio di marzo cade spesso il giorno 20 e, a partire dal 2044, saltuariamente anche il 19 marzo. Questo anticipo è dovuto all'organizzazione dei giorni bisestili nel calendario gregoriano che, non coincidendo esattamente con l'anno siderale, ha comportato il mantenimento dell'alternanza quadriennale per l'anno 2000, e causato quindi un progressivo spostamento di un giorno di tutti gli avvenimenti celesti, fino al prossimo riallineamento, previsto nell'anno 2100. Inoltre l'equinozio di settembre risulta leggermente più tardivo (intorno al 23 settembre) rispetto a quello di marzo, poiché il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole (il cosiddetto anno siderale), risulta leggermente più lento in prossimità dell'afelio terrestre (a luglio), come risulta dalla seconda legge di Keplero.
All'occhio di un osservatore sull'equatore, agli equinozi il sole sorge e tramonta rispettivamente all'est e all'ovest geografico, e a mezzogiorno è allo zenit; ciò comporta anche una durata del dì pressoché identica a quella della notte. Il centro del disco solare è sopra l'orizzonte per dodici ore consecutive, anche se il fenomeno di diffusione atmosferica della luce fa sì che la Terra sia illuminata già da circa mezz'ora prima dell'alba a circa mezz'ora dopo il tramonto; inoltre la rifrazione fa sì che la figura del Sole, che all'alba attraversa una porzione più spessa d'atmosfera, appaia in una posizione diversa da quella in cui dovrebbe essere visibile se non filtrata dall'atmosfera (per esempio sulla Luna, dove non esistono zone intermedie tra la luce piena e il buio assoluto); infine le dimensioni del disco solare fanno sì che quando il suo centro supera la linea dell'orizzonte già una porzione di esso lo ha superato o debba ancora superarlo, se al tramonto. In entrambi gli equinozi il Sole passa a sud del tropico del Cancro e a nord di quello del Capricorno; allo zenit equatoriale il Sole si trova declinato di 66° 33' su entrambi i tropici e di 23° 27' su entrambi i circoli polari. Gli equinozi segnano anche il momento di passaggio da un minore a un maggiore periodo di insolazione durante la giornata rispetto a quello di buio e viceversa: rispettivamente nell'emisfero boreale e in quello australe, immediatamente dopo l'equinozio di marzo il periodo di luce è maggiore (e minore) di quello di buio; viceversa accade dopo l'equinozio di settembre, in cui il periodo di luce solare nell'emisfero nord è più breve di quello di buio mentre in quello sud è maggiore. Nell'originale calendario giuliano, promulgato da Giulio Cesare, l'equinozio di primavera cadeva il 25 marzo. La ragione dell'odierno spostamento al 21 marzo si lega alle motivazioni stesse della messa in essere del calendario gregoriano. Infatti Gregorio XIII intendeva ripristinare l'allineamento fra date del calendario ed eventi astronomici esistente al tempo del Concilio di Nicea, tenutosi nel 325. Quindi la riforma gregoriana non recuperò i tre giorni del 29 febbraio degli anni 100, 200 e 300 né il quarto giorno, che si era già aggiunto a causa del caos nell'applicazione del giorno bisestile intervenuta fra l'omicidio di Cesare e il definitivo decreto di riordino di Augusto dell'anno 8. Fu così che l'equinozio fu stabilmente spostato di quattro giorni rispetto alla sua data originaria.

Il solstizio (dal latino solstitium, parola a sua volta derivante da sol, "sole", e dal tema del verbo stare, nel senso di "fermarsi"), in astronomia, è il momento che si verifica due volte all'anno quando la Terra, nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole lungo l'orbita terrestre, presenta in direzione del Sole angolo massimo o minimo tra il proprio asse di rotazione e il piano orbitale terrestre. I due solstizi annuali si verificano intorno al 21 dicembre e al 21 giugno (rispettivamente detti "solstizio d'inverno" e "solstizio d'estate", con riferimento alle stagioni presenti nell'emisfero boreale in quei giorni). Successivamente ai solstizi, in ciascuno dei due emisferi terrestri si inverte la tendenza all'aumentare o al diminuire dell'inclinazione dei raggi del sole, e la tendenza al diminuire o all'aumentare delle ore di luce giornaliere. Il solstizio d'inverno rappresentava occasione di festività di vario genere: il Sol Invictus, Saturnalia (dal 17 al 23) e Angeronalia nell'antica Roma; il Natale per il cristianesimo; Yule nel neopaganesimo e per gli Eteni con il nome norreno di Jól. In Gran Bretagna, a Stonehenge, sopravvivono imponenti ruderi: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L'asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto "pietra del calcagno" (Heel Stone, detta anche Friar's Heel, cioè "Tallone del frate").
Al solstizio d'estate il Sole si leva al di sopra della Heel Stone. Stonehenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, ma anche un calendario. A Nabta Playa vi è un circolo calendariale, dove due monoliti hanno allineamento Nord-Est in direzione del sorgere del sole il 21 giugno e risulta essere più antico di Stonehenge di almeno mille anni. Tracce di culti solari s'incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all'Africa alle Americhe e giungono fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il sole è la vita mentre la luna la morte, in Indonesia il sole s'identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il sole, creatore della terra. Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al XV secolo, la divinità Inti è il sole, sovrano della terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l'imperatore. Attorno a Cusco, capitale dell'impero, sorgono i Mojones, torri usate come "mire" per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Machu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l'"Intihuatana", un orologio solare ricavato nella roccia. Per i Maya il sole è il supremo regolatore delle attività umane, sulla base di un calendario nel quale confluiscono credenze religiose e osservazioni astronomiche per quell'epoca notevolmente precise. Tra gli indiani d'America il sole è simbolo della potenza e della provvidenza divine. Presso gli Aztechi è assimilato a un giovane guerriero che muore ogni sera e ogni mattina risorge, sconfiggendo la luna e le stelle: per nutrirlo il popolo azteco gli offriva in sacrificio vittime umane. Leggende analoghe, anche se fortunatamente meno feroci, si trovano ancora tra le popolazioni primitive nostre contemporanee. Gli stessi Inuit (eschimesi) ritenevano fino a poco tempo fa che il sole, durante la notte, rotolasse sotto l'orizzonte verso nord e di qui diffondesse la pallida luce delle aurore boreali: convinzione ingenua, ma non del tutto errata, visto che è stato studiato come le aurore polari siano proprio causate da sciami di particelle nucleari proiettate nello spazio ad altissima energia dalle regioni di attività solare. Tutto il culto degli antichi Egizi è dominato dal sole, chiamato Horus o Kheper al mattino quando si leva, Ra quando è nel fulgore del mezzogiorno e Atum quando tramonta. Eliopoli, la città del Sole, era il luogo sacro all'astro del giorno, il tempio di Abu Simbel, fatto costruire da Ramses II nel XIII secolo a.C., era dedicato al culto del Sole.
Secondo la cosmologia egizia il Nilo era il tratto meridionale di un grande fiume che circondava la Terra e che, verso nord, scorreva nella valle di Dait, che raffigurava la notte; su esso viaggiava un'imbarcazione che trasportava il Sole (raffigurato come un disco di fuoco e impersonato nella figura del dio Ra) che nasceva ogni mattino, aveva il culmine a mezzogiorno e al tramonto viaggiava su un'altra imbarcazione che lo riportava a est. Si devono agli Egizi alcune delle prime precise osservazioni astronomiche solari, in base alle quali i sacerdoti del faraone prevedevano le piene del Nilo e programmavano i lavori agricoli. Le piramidi sono disposte secondo orientamenti astronomici, stellari e solari. Gli obelischi erano essenzialmente degli gnomoni, che con la loro ombra scandivano le ore e le stagioni. Gli orologi solari erano ben noti e ne esistevano diversi tipi, alcuni dei quali portatili, a forma di T o di L, chiamati merket: il faraone Thutmosis III, vissuto dal 1501 al 1448 a.C., viaggiava sempre con la sua piccola meridiana, come noi con il nostro orologio da polso. La prima comparsa di Sirio, la stella più luminosa del cielo, all'alba, in estate, era per gli Egizi il punto di riferimento fondamentale del calendario. Il loro anno era di 365 giorni esatti, ma sapevano già che in realtà la sua durata è maggiore di circa sei ore, per cui avevano calcolato che nel corso di 1460 anni la data delle inondazioni del Nilo faceva una completa rotazione del calendario. Il solstizio d'estate, rappresentando l'inizio dell'omonima stagione, è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha nel neopaganesimo o la natività cristiana di Giovanni Battista, cosiddetta "Notte di San Giovanni" o "Notte di mezza estate". Talvolta nelle zone di cultura celtico-germanica la "Festa del sole di mezza estate" era associata anche alla celebrazione della mascolinità e della sua funzione sociale. Tra gli esempi di questo binomio si può osservare, in Italia, l'usanza della Festa dal suu / Festa di Òman a Canzo, in provincia di Como. Nel tardo Impero romano, proprio riferendosi al solstizio d'inverno, si parlava di Sol Invictus (Sole invitto) per celebrare il giorno in cui il Sole smetteva di calare sull'orizzonte.
Il solstizio di estate e il solstizio di inverno rappresentano rispettivamente il dì più lungo e il più corto dell'anno. L'impressione del "fermarsi" del sole è dovuta al fatto che in corrispondenza dei solstizi la variazione della declinazione è molto lenta (lo si vede bene nell'analemma), a differenza degli equinozi in cui la variazione della declinazione è più significativa. Nel corso di un anno il solstizio ricorre due volte: il Sole raggiunge il valore massimo di declinazione positiva nel mese di giugno (segnando l'inizio dell'estate boreale e dell'inverno australe) e il valore massimo di declinazione negativa in dicembre (marcando l'inizio dell'inverno boreale e dell'estate australe). Il solstizio ritarda ogni anno di circa 6 ore rispetto all'anno precedente (più precisamente 5h 48min 46s) e si riallinea forzosamente ogni quattro anni in corrispondenza dell'anno bisestile, introdotto proprio per evitare la progressiva divergenza delle stagioni con il calendario. A causa di tali variazioni può capitare che i solstizi cadano il 20 o il 21 giugno oppure il 21 o il 22 dicembre.
Sulla verticale di ogni punto tra le latitudini 23° 26' 14,44'' Nord (tropico del Cancro) e Sud (tropico del Capricorno) il Sole raggiunge lo zenit due volte l'anno: ciò significa che su ogni luogo tra i due tropici, due giorni all'anno, il Sole è a perpendicolo al mezzogiorno locale; nel caso particolare in cui il Sole sia allo zenit all'equatore si parla di equinozio (in quanto i raggi solari giungono perpendicolari all'asse terrestre e la durata del periodo di luce è uguale a quella notturna). I punti sui tropici, altresì, sperimentano il sole al proprio zenit una sola volta l'anno, in corrispondenza dei solstizi (al tropico del Cancro per il solstizio di giugno, a quello del Capricorno per quello di dicembre). Le latitudini comprese tra ciascun tropico e il relativo polo non hanno mai il Sole allo zenit. Nell'emisfero boreale, al mezzogiorno locale del solstizio di giugno il Sole raggiunge l'altezza massima possibile sull'orizzonte per quella latitudine, mentre in quello di dicembre raggiunge l'altezza minima. Nell'emisfero australe invece, al mezzogiorno locale del solstizio di giugno il Sole raggiunge l'altezza minima possibile sull'orizzonte per quella latitudine, mentre in quello di dicembre raggiunge l'altezza massima. Nelle località comprese tra i circoli polari e i poli, alternatamente nell'emisfero nord o in quello sud, durante il periodo in luce del relativo emisfero il Sole arriva a rimanere sopra l'orizzonte anche per più di 24 ore consecutive, fino a diversi mesi in prossimità dei poli: questo avviene nel periodo compreso tra l'equinozio di marzo e quello di settembre nell'emisfero boreale, e al contrario tra l'equinozio di settembre e quello di marzo nell'emisfero australe. La durata del fenomeno varia in base alla latitudine: esattamente ai poli (90° di latitudine) il Sole non tramonta per metà dell'anno, a 80° (sia nord sia sud) per 140 giorni consecutivi, a 70° per 70 giorni. Il solstizio d'estate è l'unico giorno in cui il Sole non tramonta per le località poste sui circoli polari (66° 33' 38" N e S di latitudine), latitudine inferiore limite di visibilità del fenomeno.




LA TEMPERATURA:

La seguente tabella mette a confronto varie scale di misurazione della temperatura, i valori riportati, quando necessario, sono stati arrotondati per difetto.

LA PRESSIONE ATMOSFERICA

Il peso dell'aria esercita una pressione sulla superficie della Terra. Questa pressione è nota come pressione atmosferica. Maggiore è la colonna d'aria su una superficie, maggiore è la pressione atmosferica: ciò significa che la pressione atmosferica varia con l'altitudine. Ad esempio, la pressione atmosferica è maggiore al livello del mare rispetto alla cima di una montagna. Per compensare questa differenza e facilitare il confronto tra località poste a diverse altitudini, la pressione atmosferica viene "corretta" alla pressione equivalente al livello del mare. Questa pressione corretta è nota come pressione barometrica. La pressione barometrica varia, inoltre, con le condizioni meteorologiche. La densità dell'aria è il rapporto tra massa d'aria e volume occupato, si misura in grammi/unità di volume.
A differenza dei fluidi incomprimibili a densità costante come l'acqua, l'aria è un fluido facilmente comprimibile, per cui densità e pressione aumentano all'aumentare del peso della colonna d'aria soprastante. La densità dell'aria diminuisce quindi con la quota: al livello del mare e a 0 °C essa misura 1,29 grammi per litro, a 17 km di altezza misura appena un decimo di quella iniziale, con un andamento simile a quello della pressione atmosferica ovvero esponenziale negativo che si accentua al di sopra dei 100 km di quota (eterosfera) dove risente della mutata composizione dell'atmosfera con sempre maggiore presenza di gas leggeri quali elio e idrogeno.
Essa è inoltre inversamente proporzionale alla temperatura poiché diminuendo la temperatura diminuisce anche il volume occupato e quindi aumenta la densità; viceversa aumentando la temperatura aumenta il volume e quindi diminuisce la densità. In meteorologia tale considerazione è di notevole importanza in quanto a differenze di densità dell'aria corrispondono differenze di pressione che sono la causa motrice dei venti.
Inoltre il livello di densità dell'aria è un parametro importante anche per la navigazione aerea. Nelle regioni calde oppure a quote elevate dove la densità dell'aria si abbassa notevolmente, gli aeroplani necessitano di piste di atterraggio/decollo più lunghe o di carichi più leggeri per un atterraggio/decollo sicuro a causa della minore resistenza opposta dall'aria in fase di atterraggio e per la minore portanza in fase di decollo.
Poiché la densità è strettamente legata alla temperatura, essa presenta fluttuazioni sistematiche secondo l'ora del giorno e la stagione. Si hanno poi ulteriori variazioni in dipendenza dell'attività solare.
Le particelle estranee presenti negli strati inferiori dell'atmosfera come polvere sollevata dal vento, prodotti della combustione industriale (pulviscolo atmosferico) non influiscono sulla densità dell'aria, ma hanno rilevanza in altri fenomeni atmosferici connessi con la condensazione del vapore acqueo (nuclei di condensazione) e con l'inquinamento atmosferico.

L'UMIDITA'

E' la quantità di vapore acqueo presente nell'atmosfera. L'umidità assoluta è la quantità di vapore acqueo espressa in grammi contenuta in un metro cubo d'aria. E' un valore di scarso interesse perchè dipende dalla pressione dell'aria. Più utile è invece l'umidità specifica, cioè la quantità  di vapore in grammi contenuta in un chilo d'aria, valore che rimane costante indipendentemente dalla pressione. L'umidità relativa (U.R.) è il rapporto tra la quantità di vapore acqueo contenuto in una massa d'aria e la quantità massima di vapore acqueo che la stessa massa d'aria riesce a contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione di saturazione. L'umidità  relativa cambia con la temperatura, la pressione e il contenuto di vapore acqueo. L'umidità relativa è un fattore importante per la determinazione della entità della evaporazione dalle superfici umide, poichè l'aria calda con bassa umidità  ha un'ampia capacità per vapore acqueo supplementare. L'umidità relativa si misura in percentuale. Se l'umidità relativa è al 100% non significa che c'è solo acqua, ma che quella massa d'aria contiene la massima quantità di contenibile in quelle condizioni. La quantità di vapore che puà essere contenuta da una massa d'aria diminuisce al diminuire della temperatura, e diventa nulla a -40°. (Questo valore coincide nelle scale Celsius e Fahrenheit). Lo strumento usato per misurare l'umidità relativa si chiama igrometro. Valori bassi di umidità relativa si hanno in corrispondenza di clima caldo secco, per esempio frequente ai Tropici. Normalmente l'umidità relativa è tra il 30% e il 100% alle nostre latitudini. Negli aerei è particolarmente bassa, intorno al 12%. L'umidità  relativa dell'aria in situazioni di benessere varia da 35 a 65%; non dovrebbe mai essere superato il valore di 50% con temperature maggiori di 26°C.

La temperatura (del punto) di rugiada (cf. dew point, dew point temperature)

Con punto di rugiada o temperatura di rugiada ("dew point") si intende la temperatura alla quale, a pressione costante, l'aria (o, più precisamente, la miscela aria-vapore) diventa satura di vapore acqueo. In meteorologia in particolare, indica a che temperatura deve essere portata l'aria per farla condensare in rugiada, senza alcun cambiamento di pressione. Se il punto di rugiada cade sotto 0 °C, esso viene chiamato anche punto di brina.
Qualsiasi eccedenza di vapore acqueo ("sovrasaturazione") passerà allo stato liquido. Allo stesso modo, il punto di rugiada è quella temperatura a cui una massa d'aria deve essere raffreddata, a pressione costante, affinché diventi satura (ovvero quando la percentuale di vapore acqueo raggiunge il 100%) e quindi possa cominciare a condensare nel caso perdesse ulteriormente calore. Ciò comporta la formazione di brina, rugiada o nebbia a causa della presenza di minuscole goccioline di acqua in sospensione.
In estate essa ci fornisce un'idea immediata della sensazione di calore sul nostro organismo: temperature di rugiada superiori ai 17°C sono sintomo di una debole afa, quando invece superano i 21°C, l'afa comincia a diventare fastidiosa. Inoltre il dew point da una rappresentazione anche di quello che è il "carburante" disponibile per lo sviluppo di temporali, più il dew point è elevato più gli eventuali fenomeni temporaleschi potranno essere intensi.

L'AFA

L'afa è una condizione di maltempo, causata dalla contemporanea presenza di caldo eccessivo, alti tassi di umidità ed assenza di vento che fanno percepire temperature più elevate di quelle reali. Solitamente l'afa si presenta in estate ed è spesso accentuata in talune ondate di caldo. L'afa può rivelarsi una condizione pericolosa per la salute in quanto può causare stati di ipertermia, soprattutto nei soggetti a rischio come anziani, bambini o malati.

Classificazione dei vari tipi di afa in base al Dew Point:

  • Dew point fino a + 16° ASSENZA DI AFA
  • Dew point compreso tra +17° e +19° AFA DEBOLE
  • Dew point compreso tra +20° e +23° AFA MODERATA
  • Dew point compreso tra +24 e +28 AFA FORTE
  • Dew point superiore a +28° POSSIBILE COLPO DI CALORE

La temperatura di bulbo umido

(In inglese wet bulb temperature) è la temperatura a cui si porta l'acqua in condizioni di equilibrio di scambio convettivoe di massa d'aria in un moto turbolento completamente sviluppato.In contrapposizione al termine temperatura di bulbo umido talvolta si fa riferimento al termine di temperatura di bulbo secco (in inglese dry bulb temperature). A partire dal valore della temperatura di bulbo umido si ricava l'umidità assoluta di un ambiente. La temperatura umida o meglio la temperatura di bulbo umido è il parametro fondamentale per la formazione della neve programmata.
La temperatura di bulbo umido è il valore che si ottiene mettendo in relazione la temperatura misurata con il termometro a secco con l’umidità relativa dell’aria. Con il 100% di UR la temperatura di bulbo umido é uguale alla temperatura a bulbo secco. Al diminuire dell’UR, a parità di temperatura di bulbo secco, diminuisce anche la temperatura di bulbo umido. Quindi con basse TBU abbiamo una maggiore efficienza nel produrre neve programmata.
Se la TBU è superiore agli 0°C non si possono ottenere dei germi di ghiaccio e quindi parimenti non è possibile ottenere neve programmata. Ci possono essere delle situazioni in cui la temperatura dell’aria è sopra gli 0°C ma l’umidità è molto bassa. Si hanno quindi TBU inferiori agli 0°C e quindi è possibile ottenere della neve programmata.

Il raffreddamento da vento (Wind Chill)

Il wind chill è una temperatura apparente che indica come la velocità del vento modifica la nostra percezione della temperatura reale. Il nostro corpo riscalda le molecole d'aria che lo avvolgono trasferendo calore dalla pelle. Se non c'èun flusso d'aria, questo strato isolante di molecole d'aria calda rimane adiacente alla pelle ed offre una certa protezione contro le molecole di aria più fredda. Tuttavia, il vento è in grado di scalzare rapidamente questo confortevole strato che avvolge il nostro corpo. Più il vento soffia forte, più rapidamente il calore viene trasportato via e maggiore sarà la sensazione di freddo. Sopra i 32°C, il vento non ha effetto sulla temperatura apparente, cosicchè la temperatura di wind chill coincide con la temperatura esterna. Di seguito viene riportata una tabella con i valori di wind chill:



Alla scala del wind chill sono associate una serie di soglie di precauzione per evitare ipotermia e congelamento.

Indice di calore (Heat Index)

L'indice di calore combina temperatura e umidità relativa per esprimere la temperatura apparente percepita dall'organismo. Quando l'umidità è bassa, la temperatura apparente sarà inferiore rispetto alla temperatura reale dell'aria, poichè il sudore evapora rapidamente per raffreddare il corpo. Invece, quando l'umidità è elevata (cioè l'aria è saturata con vapore acqueo) la temperatura apparente percepita sarà più alta rispetto a quella reale, poichè il sudore evapora più lentamente.

Temperatura percepita (THW, Temperatura, umidità, vento)

Come l'indice di calore sopra descritto, l'indice THW combina temperatura e umidità per calcolare una temperatura apparente. Inoltre, l'indice THW abbina l'effetto di raffreddamento del vento sulla nostra percezione della temperatura. E' quindi l'indicatore di temperatura apparente che abbiamo selezionato come più realistico per le informazioni di questo sito.

La Galaverna

È un deposito di ghiaccio in forma di aghi e scaglie che può prodursi quando la temperatura è inferiore a 0 °C e c'è la presenza di una leggera nebbia. La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via. Essa si forma perchè le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera possono rimanere liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione). Questo stato è instabile e, non appena le gocce toccano una superficie solida come il suolo o la vegetazione, si trasformano in galaverna: si tratta quindi di solidificazione, ovvero passaggio dallo stato liquido a quello solido. In particolare, la galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di nebbia, temperatura bassa, ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di fusione. Quando questi parametri cambiano si hanno altre formazioni, come per esempio la calabrosa, che si forma quando le gocce di nebbia sono più grosse e il vento è più forte. La galaverna si distingue dalla brina perchè questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione delle gocce d'acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della perdita di calore per irraggiamento durante la notte. Le formazioni di ghiaccio, simili alla galaverna, che si producono in assenza di nebbia con temperature inferiori a -8°C e un'umidità relativa dell'aria superiore al 90% sono più propriamente dette brinone, dato il differente processo di formazione.

La Brina

La brina da irraggiamento è la più comune in Italia e si forma soprattutto su superfici che tendono a perdere calore: E' frequente soprattutto durante le notti invernali con cielo sereno e calma di vento, condizioni che favoriscono la dispersione del calore. Si forma per il brinamento del vapore acqueo su una superficie fredda (suolo, oggetti, tetti): quindi occorre che il punto di rugiada sia maggiore della temperatura superficiale ma inferiore a 0°C. Esiste un altro tipo di brina, chiamata brina da avvezione che non è molto frequente in Italia. Essa si forma con venti freddi (come il buran), causando la formazione di finissimi cristalli di brina anche sulle superfici rialzate in direzione opposta al vento come tronchi d'albero o pali della luce, in assenza di nebbia, ma con alti livelli di umidità dell'aria. Entrambi i tipi di brina possono assomigliare alla galaverna, ma quest'ultima si forma attraverso il congelamento delle goccioline contenute in uno strato di nebbia, quando la temperatura è inferiore a 0°C. Quando la brina si forma con temperature inferiori a -8°C e un'umidità relativa dell'aria superiore al 90%, si ha il cosiddetto brinone, di spessore assai maggiore della brina comune. La brina può formarsi anche sopra altra brina, ghiaccio o neve e viene chiamata brina di superficie. Questo accade non solo in natura ma anche nei frigoriferi e congelatori.
Specialmente in montagna, dove cè un manto nevoso consistente, può accadere che il vapore acqueo si muova sulla superficie nevosa mentre brina, creando così degli effetti molto suggestivi, spesso a forma di foglia di felce chiamati fiori di neve. Quando invece brina uno strato di neve sottile, si possono formare cristalli di ghiaccio bianco a forma di schegge. Un tipo particolare di brina si ha quando il vapore acqueo brina direttamente sulla superficie interna di un vetro: questo accade quando l'umidità della stanza è piuttosto alta, le temperature esterne sono molto basse e il vetro non è ben isolato termicamente. Si tratta di un fenomeno analogo all'appannamento. Se l'umidità interna è molto alta e la temperatura esterna non eccessivamente bassa, il vapore acqueo condensa sul vetro formando successivamente uno strato di ghiaccio vitreo. Se, invece, l'umidità  interna non è eccessiva e la temperatura esterna è molto bassa, si possono formare direttamente cristalli di ghiaccio. Le forme sono spesso suggestive e prendono il nome di fiori di ghiaccio.

La nebbia

(Come la bruma) è un fenomeno meteorologico causato dall'evaporazione dell'acqua presente nel suolo o in una distesa d'acqua superficiale; una volta a contatto con l'aria, il vapore acqueo si raffredda e si condensa in un aerosol formato da piccole gocce che rifrangono la luce solare, dando al fenomeno una colorazione opaca; questa condensazione può avvenire in modi diversi a seconda del tipo di raffreddamento assumendo diversi nomi; i principali sono:

  • nebbia da irraggiamento
  • nebbia da avvezione
  • nebbia da evaporazione
  • nebbia frontale (o da precipitazione)

La nebbia da irraggiamento può essere formata dal raffreddamento del suolo dopo il tramonto dalle irradiazioni termiche (infrarosso) in condizioni atmosferiche calme e con cielo sereno. Il suolo freddo provoca condensazione nell'aria più vicina per la conduzione di calore. In assenza di vento il livello della nebbia puà essere meno profondo di un metro, ma in caso di turbolenza il livello può ispessirsi. La nebbia da irraggiamento è comune in autunno e di solito non dura a lungo dopo il sorgere del sole.
Si parla di nebbia da avvezione quando l'aria umida passa per avvezione sopra il terreno freddo e viene così raffreddata. Tale forma è più frequente sul mare quando l'aria tropicale incontra ad alte latitudini l'acqua più fredda. E' anche estremamente comune il caso in cui un fronte tiepido passi sopra un'area abbondantemente innevata. La nebbia da evaporazione è la forma più localizzata ed è creata dall'aria fredda che passa sull'acqua molto più calda. Il vapore acqueo entra velocemente nell'atmosfera tramite l'evaporazione e la condensazione ha luogo una volta che viene raggiunto il punto di rugiada.
La nebbia da evaporazione è più frequente nelle regioni polari, e intorno ai laghi più grandi e più profondi nel tardo autunno e all'inizio dell'inverno, spesso causa nebbia ghiacciata o talvolta brina.
La nebbia frontale (o da precipitazione) si forma quando una precipitazione cade nell'aria secca dietro alla nube, le goccioline liquide evaporano in vapore acqueo. Il vapore acqueo si raffredda e al punto di rugiada condensa e forma la pioggia. La nebbia ghiacciata si verifica quando goccioline liquide di nebbia congelano sulla superficie, formando della brina. Ciò è molto frequente sulla cima di quelle montagne che sono esposte a un debole vento. E' equivalente alla pioggia ghiacciata e essenzialmente uguale al ghiaccio che si forma in un congelatore. La nebbia velata artica è quel tipo di nebbia dove le goccioline si sono congelate a mezz'aria in minuscoli cristalli di ghiaccio. Generalmente ciò richiede temperature ben al di sotto del punto di congelamento e quindi questo tipo di nebbia è comune solo nell'area e nei dintorni delle regioni artiche ed antartiche. La nebbia si forma spesso nelle valli di montagna durante l'inverno. E' il risultato dell'inversione di temperatura causata dall'aria fredda più pesante che si abbassa nella valle mentre l'aria più calda che si innalza e passa sopra le montagne. Si tratta sostanzialmente di nebbia da avvezione limitata dalla topografia locale, che in condizioni di calma più durare diversi giorni. Tutti i tipi di nebbia si formano quando l'umidità relativa raggiunge il 100% e la temperatura dell'aria scende sotto il punto di rugiada, spingendola in basso forzando il vapore acqueo a condensare. Le città e aree più nebbiose in Italia sono: Ferrara, Mantova, Rovigo e Cremona. Per questo motivo l'autostrada A13 che attraversa queste zone è stata la prima a sperimentare la segnaletica stradale per nebbia.

La neve

La neve è una forma di precipitazione nella forma di acqua ghiacciata cristallina, che consiste in una moltitudine di fiocchi. Dal momento che è composta da piccole parti grezze è un materiale granulare. Ha una struttura aperta ed è quindi soffice, a meno che non sia schiacciata dalla pressione esterna. La neve si forma nell'alta atmosfera, quando il vapore acqueo, a temperatura inferiore a 0°C brina e passa dallo stato gassoso a quello solido e riesce a raggiungere il terreno senza sciogliersi. Questo accade quando la temperatura al suolo è minore di 2°C e negli strati intermedi non esistono temperature superiori a 0°C, altrimenti la neve si fonde e diventa acquaneve o pioggia.
Se la temperatura lo consente, è possibile produrre neve artificiale con cannoni appositi, che tuttavia creano piccoli granelli più simili a neve tonda che non a neve propriamente detta. l'acqua passa allo stato solido a zero gradi ma questo non vale per le precipitazioni che cadono dal cielo. Il fatto che queste ultime cadendo attraversino strati d'aria a temperature sempre diverse presenta il primo problema. Durante la caduta dalle nubi un fiocco di neve può incontrare strati d'aria  a temperatura superiore allo zero dunque dovrebbe fondere ma non lo fa: perchè? Perchè il processo di fusione necessita di energia. E da dove arriva questa energia? Dall'aria. In altre parole il fiocco di neve, quando inizia il processo di fusione, sottrae energia all'aria la quale inizia così a raffreddarsi. Il raffreddamento frena il processo di fusione e il fiocco di neve può quindi scendere sotto il limite inizialmente identificato dello zero termico. Questo processo microfisico ci suggerisce a questo punto un elemento di essenziale importanza nel procedere alla previsione della neve: più la massa d'aria attraversata dal fiocco è asciutta, più il processo di fusione richederà energia, più l'aria abbasserà la sua temperatura, quindi, alla fine, più in basso rispetto allo zero termico scenderà il fiocco di neve. Nella pratica occorrono due strumenti: la temperatura dell'aria e quella dei bulbo umido. Quest'ultima è la temperatura alla quale si raffredderà l'aria quando tutta l'acqua in essa contenuta sarà evaporata fino a provocarne la saturazione. Il concetto può risultare non immediato, tuttavia il valore che a noi interessa è di semplice reperimento, dato che tale temperatura è rilevata dai termometri detti appunto "a bulbo umido" e riportata nei radiosondaggi. Se tale valore risulta pari o inferiore allo zero sull'intera colonna d'aria nevicherà, viceversa avremo pioggia. Un secondo metodo, di natura più empirica ma approssimativamente valido ai fini di conoscere la qualità della neve che cadrà, ma soprattutto le quote che raggiungerà durante la sua caduta dalle nubi prima di diventare pioggia può essere questo:
1) Prendere nota della temperatura dell'aria e della dew point al suolo (dew point= temperatura di rugiada alla quale tutta l'umidità contenuta nell'aria condensa).
2) Sommare i due valori e dividere il risultato per 2.
3) Ripetere il medesimo procedimento per la temperatura alle quote isobariche superiori, in particolare a 925hPa e a 850hPa; se disponibili entrambi, altrimenti almeno uno dei due. Li troviamo di solito nei radiosondaggi ma li possiamo ricavare anche tramite i modelli a scala locale o, meglio ancora, dai meteogrammi che rivelano il profilo verticale dell'atmosfera sulla nostra località. Otterremo a questo punto un certo valore per ogni quota analizzata: quel valore indica di quanti gradi scenderà la temperatura nel momento in cui inizierà la precipitazione. Ecco pronto in sostanza un nuovo profilo termico verticale della colonna d'aria all'interno del boundary layer, lo strato limite dei bassi strati dove viene decisa la qualità finale della neve che arriverà in pianura.
Ora, se l'intera colonna d'aria risulterà su valori negativi fino a 0°C (massa d'aria fredda e secca), la neve giungerà al suolo sotto forma di cristalli. La precipitazione sarà di piccole dimensioni ma fitta, presenterà diverse intercapedini d'aria al suo interno, dunque risulterà asciutta. Se al suolo o negli strati intermedi la temperatura si avvicinerà o raggiungerà anche per brevi tratti valori leggermente positivi, anche solo tra 0 e +1°C (presenza di aria più mite e umida), i cristalli tenderanno ad aggregarsi tra loro formando i tipici fiocchi. Avremo una precipitazione a larghe falde ma i fiocchi al loro interno conterranno già i primi elementi liquidi, dunque la neve si presenterà con caratteristiche complessive più bagnate e pesanti. Nell'ipotesi finale che i valori termici risultino superiori a quelli appena indicati, ossia in ambiente sopra zero, i nostri fiocchi fonderanno rapidamente e giungeranno al suolo sotto forma di pioggia.

La grandine

La grandine è un tipo di precipitazione atmosferica formata da tanti pezzi di ghiaccio, generalmente sferici, che cadono dalle nubi cumuliformi più imponenti, i cumulonembi. La grandine si forma in questo modo: se le correnti ascensionali in un cumulonembo sono abbastanza forti, un pezzo di ghiaccio viene trasportato in su e in giù nella nube, dove si fonde con altri pezzi di acqua, per poi ricongelarsi nuovamente e diventare sempre più grande. Quando i venti non riescono più a sollevare e trattenere questi pezzi di ghiaccio, perchè troppo pesanti, essi cadono a terra ad elevata velocità e, non riuscendo a sciogliersi prima di essere arrivati al suolo, causano spesso notevoli danni ai raccolti e alle automobili. Lo studio dei granelli di grandine viene condotto con un particolare strumento di misura, detto grelimetro. Esistono vari sistemi, usati prevalentemente in agricoltura, per evitare danni da grandine. Vengono usate le reti antigrandine per proteggere colture pregiate. Per aree vaste si usa invece un principio fisico: si spande tra le nubi dello ioduro d'argento. I chicchi di grandine si formano a partire da nuclei solidi molto piccoli. Se si aumenta il numero di questi nuclei, si riduce in proporzione la dimensione media dei chicchi. Per ottenere tale effetto si usano tecniche diverse. Si possono sparare dei razzi che esplodendo in quota liberano queste polveri. Oppure si spandono le stesse con aerei appositamente attrezzati.

La rosa dei venti

La rosa dei venti più semplice è quella a 4 punte formata dai soli quattro punti cardinali:

  • Nord (N 0°) anche detto settentrione o mezzanotte e dal quale spira il vento detto tramontana
  • Est (E 90°) anche detto oriente o levante e dal quale spira il vento detto levante
  • Sud (S 180°) anche detto meridione e dal quale spira il vento detto mezzogiorno oppure ostro
  • Ovest (W 270°) anche detto occidente o ponente e dal quale spira il vento detto ponente

Tra i quattro punti cardinali principali si possono fissare 4 punti intermedi:

  • Nord-Est (NE 45°), dal quale spira il vento di grecale (chiamato anche greco)
  • Sud-Est (SE 135°), dal quale spira il vento di scirocco (garbino umido);
  • Sud-Ovest (SW 225°), dal quale spira il vento di libeccio (garbino secco);
  • Nord-Ovest (NW 315°), dal quale spira il vento di maestrale (carnasein).

Elencando in senso orario gli otto venti principali si ha dunque:

Punto cardinale Abbr. Direzione Vento
Nord N Tramontana
Nord-Est NE 45° Grecale
Est E 90° Levante
Sud-Est SE 135° Scirocco
Sud S 180° Ostro o Mezzogiorno
Sud-Ovest SW 225° Libeccio
Ovest W 270° Ponente
Nord-Ovest NW 315° Maestrale

La rosa dei venti in testa al Molo Audace di Trieste.

I nomi delle direzioni NE, SE, SO e NO derivano dal fatto che la rosa dei venti veniva posizionata, nelle prime rappresentazioni cartografiche del Mediterraneo, al centro del Mar Ionio oppure vicino all'isola di Malta o ancor più frequentemente dell'isola di Creta, che divenivano così anche il punto di riferimento per indicare la direzione di provenienza del vento, ossia delle navi che anticamente erano spinte dai venti portanti, ossia da venti che provenissero dalla loro poppa (le andature all'orza vennero molto più tardi).
In quella posizione, le navi che provenivano da NE, giungevano approssimativamente dalla Grecia, che comprendeva allora anche la parte meridionale delle coste balcaniche e la Turchia occidentale, da cui il nome Grecale per la direzione NE-SO da SE giungevano navi provenienti dalla Siria, da cui il nome Scirocco per il vento da SE; a SW vi è la Libia, nome che anticamente definiva anche la Tunisia e l'Algeria, da cui il nome Libeccio per il vento da SW verso NE. Infine da NW giungevano le navi salpate da Roma, che spesso circumnavigavano la Sicilia piuttosto che affrontare lo stretto di Messina; dalla Magistra, Roma, deriva il nome del vento che soffia da NW, Maestrale: la via "maestra" era infatti, fin dall'epoca romana, la via da e per Roma. Alcuni nomi dei venti, specie quelli che compaiono nelle rappresentazioni a 8 punte e oltre, derivano direttamente da quelli che venivano associati alle varie direzioni già nella rosa dei venti di epoca classica.
Ai tempi in cui Venezia era la repubblica marinara dominante nel Mediterraneo orientale, la rosa dei venti era posizionata sull'isola greca di Zante. In questo caso la Tramontana (il vento che viene da oltre i monti, in latino Ultramontes) proviene dai monti della vicina Albania e la via maestra che dà il nome al Maestrale indicava la via per Venezia, la repubblica marinara egemone in quella regione. Questo spiegherebbe anche l'origine del nome Scirocco, inteso come vento proveniente dalla Siria, in quanto per giungere a Zante dalla Siria le navi arrivavano da Sud-Est, cosa che a Malta accadeva solo se queste facevano il giro lungo (tenendosi vicino alla costa africana). Altre versioni riportano che il Maestrale prende il nome dal Mistral, vento predominante del sud della Francia che si affaccia nel Mediterraneo. Questi quattro venti, uniti a quelli che provengono dai quattro punti cardinali, formano la rosa dei venti a 8 punte. Tra questi otto punti è possibile indicarne altri otto, intermedi tra i precedenti, ottenendo così una rosa dei venti a 16 punte. I nuovi otto punti sono in senso orario: nord-nord-est, est-nord-est, est-sud-est, sud-sud-est, sud-sud-ovest, ovest-sud-ovest, ovest-nord-ovest e nord-nord-ovest.
Nella sua estensione massima la rosa dei venti si suddivide in:

  • quattro quadranti da 90°, che porta ad una suddivisione in 4 punti
  • ogni quadrante si divide in due venti di 45°, arrivando così a 8 punti
  • ogni vento si divide in due mezzi venti da 22°30' arrivando così a 16 punti
  • ogni mezzo vento si divide in due quarte (o rombi) da 11°15', arrivando così a 32 punti
  • ogni quarta si divide in due mezze quarte da 5°37'30", arrivando così a 64 punti
  • ogni mezza quarta si divide in due quartine da 2°48'45", arrivando così a 128 punti

Anticamente ogni bussola recava, sullo sfondo, l'immagine di una rosa dei venti a 32 punte. L'orizzonte veniva così suddiviso in trentadue parti, che prendevano il nome di quarte; esse servivano come unità di misura approssimativa nelle manovre di accostamento (es: accosta due quarte a dritta). Per la forma che si viene a determinare nel disegnarle, prendono anche il nome di rombi.
Un tempo, in Italia, le rappresentazioni cartografiche comprendevano una rosa dei venti che indicava i punti cardinali. Oggi sì è soliti indicare i quattro punti cardinali e le direzioni componenti con (in senso orario da Nord): N, NE, E, SE, S, SO o SW, O o W, NO o NW; allora con le diciture Tr (tramontana), G (greco), + (una croce indicava il levante), S (scirocco), O (ostro), L (libeccio), P (ponente), M (maestro).

La Scala di Beaufort

É una misura empirica (quindi non una misura esatta standardizzata per convenzione) della forza del vento misurata in 12 "gradi" o "numeri" (indicati col simbolo Bft), successivamente portati a 17 per agevolare la misurazione della forza dei vari tipi di uragani.
Il valore dello stato del mare riportato in tabella, essendo questa scala come già detto una misura empirica, deve essere interpretato unicamente come indicativo, venendo rappresentate le condizioni di altezza delle onde che ci si può aspettare di incontrare in mare aperto, a grande distanza dalle coste.
Anche se la velocità del vento può essere misurata con buona precisione mediante un anemometro, che esprime un valore in nodi o in chilometri all'ora, un marinaio dovrebbe saper stimare questa velocità già con la sola osservazione degli effetti del vento sull'ambiente.
Il merito di avere perfezionato, nel 1805, una scala contenente dei criteri relativamente precisi per quantificare il vento in mare e permettere in tal modo la diffusione di informazioni affidabili e universalmente comprese sulle condizioni di navigazione si deve all'ammiraglio britannico Francis Beaufort (1857) sulla base delle precedenti teorie di Alexander Dalrymple. Questo sistema di valutazione ha validità internazionale dal 1º gennaio 1949.
Un grado Beaufort corrisponde alla velocità media di un vento di dieci minuti di durata. Di conseguenza, benché spesso usata, un'espressione come, ad esempio, "un vento di 4 Beaufort con raffiche di 6", è scorretta.
Altri criteri furono poi aggiunti alla scala Beaufort per estendere la sua applicazione a terra.

La scala in dettaglio

Numero di Beaufort Termine descrittivo Simbolo meteo Velocità del vento Altezza onde
(metri)
Condizioni del mare
(mare aperto)
(*)Categoria omologazione imbarcazioni "CE"
Condizioni a terra Foto dello stato del mare
nodi
(kn)
km/h m/s media massima
0 Calma
calm (EN)
calme (FR)
0 0 0 0 0 Mare Piatto

Cat. omologazione D
mare CALMO

Il fumo sale verticalmente.
1 Bava di vento
Light air (EN)
Tres Légère brise (FR)
1÷3 1 ÷ 6 0,3 ÷ 1,5 0,1 0,1 Leggere increspature sulla superficie somiglianti a squame di pesce. Ancora non si formano creste bianche di schiuma.

Cat. omologazione D
mare QUASI CALMO

Movimento del vento visibile dal fumo.
2 Brezza leggera
Light breeze (EN)
Légére brise (FR)
4÷6 7 ÷ 11 1,6 ÷ 3,4 0,2 0,3 Onde minute, ancora molto corte ma ben evidenziate. Le creste non si rompono ancora, ma hanno aspetto vitreo.

Cat. omologazione D
mare POCO MOSSO

Si sente il vento sulla pelle nuda. Le foglie frusciano.
3 Brezza tesa
Gentle breeze (EN)
Petite brise (FR)
7÷10 12 ÷ 19 3,4 ÷ 5,4 0,6 1,0 Onde con creste che cominciano a rompersi con schiuma di aspetto vitreo. Si notano alcune "pecorelle" con la cresta bianca di schiuma.

Mare: omologazione C
Vento: omologazione D
mare MOSSO

Foglie e rami più piccoli in movimento costante.
4 Vento moderato
Moderate breeze (EN)
Jolie brise (FR)
11÷16 20 ÷ 29 5,5 ÷ 7,9 1 1,5 Onde con tendenza ad allungarsi. Le "pecorelle" sono più frequenti

Mare: omologazione C
Vento: omologazione D
mare MOSSO

Sollevamento di polvere e carta. I rami sono agitati.
5 Vento teso
Fresh breeze (EN)
Bonne brise (FR)
17÷21 30 ÷ 39 8,0 ÷ 10,7 2 2,5 Onde moderate dalla forma che si allunga. Le pecorelle sono abbondanti e c'è possibilità di spruzzi.

Mare: omologazione C
Vento: omologazione C
mare MOLTO MOSSO

Oscillano gli arbusti con foglie. Si formano piccole onde nelle acque interne.
6 Vento fresco
Strong breeze (EN)
Vent frais (FR)
22÷27 40 ÷ 50 10,8 ÷ 13,8 3 4,0 Onde grosse (cavalloni) dalle creste imbiancate di schiuma. Gli spruzzi sono probabili.

Mare: omologazione B
Vento: omologazione C
mare AGITATO

Movimento di grossi rami. Difficoltà ad usare l'ombrello.
7 Vento forte
Near gale (EN)
Grand frais (FR)
28÷33 51 ÷ 62 13,9 ÷ 17,1 4 5,5 I cavalloni si ingrossano. La schiuma formata dal rompersi delle onde viene "soffiata" in strisce nella direzione del vento.

Mare: omologazione B
Vento: omologazione B
mare AGITATO

Interi alberi agitati. Difficoltà a camminare contro vento.
8 Burrasca
Gale (EN)
Coup de vent (FR)
34÷40 63 ÷ 75 17,2 ÷ 20,7 5,5 7,5 Onde alte. Le creste si rompono e formano spruzzi vorticosi che vengono risucchiati dal vento.

Mare: omologazione A
Vento: omologazione B
mare MOLTO AGITATO

Ramoscelli strappati dagli alberi. Generalmente è impossibile camminare contro vento.
9 Burrasca forte
Strong gale (EN)
Fort coup de vent (FR)
41÷47 76 ÷ 87 20,8 ÷ 24,4 7 10,0 Onde alte con le creste che iniziano ad arrotolarsi. Strisce di schiuma che si fanno più dense.

Cat. omologazione A
mare GROSSO

Leggeri danni alle strutture (camini e tegole asportati).
10 Tempesta
Storm (EN)
Tempête (FR)
48÷55 88 ÷ 102 24,5 ÷ 28,4 9 12,5 Onde molto alte sormontate da creste (marosi) molto lunghe. Le strisce di schiuma tendono a compattarsi e il mare ha un aspetto biancastro. I frangenti sono molto più intensi e la visibilità è ridotta.

Cat. omologazione A
mare MOLTO GROSSO

(Rara in terraferma) Sradicamento di alberi. Considerevoli danni strutturali.
11 Tempesta violenta o fortunale
Violent storm (EN)
Violente tempête (FR)
56÷63 103 ÷ 117 28,5 ÷ 32,6 11,5 16,0 Onde enormi che potrebbero anche nascondere alla vista navi di media stazza. Il mare è tutto coperto da banchi di schiuma. Il vento nebulizza la sommità delle creste e la visibilità è ridotta.

Cat. omologazione A
mare MOLTO GROSSO

Vasti danni strutturali.
12 Uragano
Hurricane (EN)
Ouragan (FR)
>64 >117 >32,7 >14 n.d. Onde altissime; aria piena di schiuma e spruzzi, mare completamente bianco.

Cat. omologazione A
mare TEMPESTOSO

Danni ingenti ed estesi alle strutture.

(*)I natanti con marcatura CE possono navigare nei limiti stabiliti dalla categoria di progettazione (A, B, C, D) e comunque entro 12 miglia dalla costa (Codice della nautica da diporto, art. 12). Va tenuto presente che le categorie di progettazione non indicano limiti di “distanza”, ma sono riferite alle condizioni del vento e del mare.
- categoria A: navigazione senza alcun limite;
- categoria B: navigazione con vento fino a forza 8 e onde con altezza significativa fino a 4 metri (mare agitato);
- categoria C: navigazione con vento fino a forza 6 e onde di altezza significativa fino a 2 metri (mare molto mosso);
- categoria D: navigazione con vento forza 4 e onde di altezza significativa fino ai 0,3 metri.